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Da CGIL



         

 

 A grandissima maggioranza i lavoratori hanno approvato l'ipotesi di accordo per il rinnovo del Contratto     Nazionale Chimico e Farmaceutico

Comunicato su esito positivo approvazione ipotesi d'accordo CCNL Chimico Farmaceutico.pdf

                                      CCNL CHIMICO-FARMACEUTICO: 

     siglata l’ipotesi di accordo per il rinnovo del contratto gennaio 2019 - giugno 2022. 

Il testo dell’ipotesi di accordo prevede il superamento della fase di verifica degli scostamenti legata esclusivamente all’inflazione, inserendo salario variabile legato agli scenari di settore. Emilio Miceli: "Un’attenta ricognizione dei bisogni individuali, di cura e di assistenza ed una scelta di campo, pure dentro le mura della fabbrica, contro la violenza di genere: è un contratto di nuova generazione che coniuga l’innovazione con l’ambizione delle persone che lavorano"
Venerdì 20 Luglio 2018
Ccnl CHIMICO-FARMACEUTICO: siglata l’ipotesi di accordo per ...

A sei mesi dalla sua scadenza naturale, nella tarda serata di oggi è stata raggiunta l'intesa tra i sindacati Filctem-Cgil, Femca-Cisl, Uiltec-Uil e le associazioni imprenditoriali Federchimica e Farmindustria sull'ipotesi di accordo per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro che coinvolge oltre 176.000 lavoratori in più di 2700 imprese, con scadenza al 30 giugno 2022. Il raggiungimento dell'intesa in tempi così brevi conferma la validità del sistema di relazioni industriali tra le parti che ha permesso il raggiungimento di importanti risultati a livello contrattuale. 

- "Un contratto importante, in alcuni aspetti innovativo. Il nuovo contratto della chimica e dell'industria farmaceutica si pone positivamente in linea con gli accordi interconfederali sottoscritti da Cgil, Cisl e Uil con Confindustria e si pone su un fronte avanzato in almeno tre aspetti: modello salariale, salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, secondo livello contrattuale". Così  ha detto il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso.

- "97 euro in 3 anni e mezzo, l'innovazione di un salario variabile che misura anche gli andamenti di settore. Una nuova funzione dei responsabili alla sicurezza che vigileranno anche sulle imprese degli appalti": lo ha dichiarato il segretario generale della Filctem Cgil Emilio Miceli

SALARIO. Dal mese di luglio 2018 sarà confermato l'Edr (elemento distinto del reddito) di 22 euro a cui si aggiungeranno altri 9 euro da gennaio 2019 derivanti dalle verifiche del passato contratto.

L'intesa, inoltre, prevede un aumento medio sui minimi (Trattamento economico minimo) di 97 euro (categoria D1) divise in 4 tranche: 1° gennaio 2019 di 30 euro; 1° gennaio 2020 di 27 euro; 1°luglio 2021 di 24 euro; 1° giugno 2022 di 16 €.

Al termine della vigenza contrattuale poi ci si incontrerà per fare una verifica complessiva tra inflazione programmata e quella realizzata tenendo conto però dell'andamento complessivo del settore. Per la prima volta un rinnovo contrattuale sarà la diretta conseguenza non solo dell'aumento generale del costo della vita, ma anche del complessivo andamento degli scenari di settore.

Inoltre, è stato deciso l'aumento di 1 euro per i turni notturni.

Per quanto riguarda il Tec (Trattamento economico complessivo) nell'accordo sono garantiti, e messi al riparo dall'andamento inflativo, i saldi salariali.

SALUTE E SICUREZZA. Nei siti produttivi, caratterizzati dalla presenza di più aziende (comprese le aziende appaltatrici) sarà costituito il coordinamento dei RLSSA (rappresentanti dei lavoratori alla sicurezza) diretto da un rappresentante della azienda prevalente nel sito industriale.

ORGANIZZAZIONE DELL'ORARIO DI LAVORO. Per far fronte al sempre più dirimente problema dell'invecchiamento attivo del personale del settore chimico-farmaceutico e per favorire un adeguato ricambio generazionale il nuovo contratto prevede, oltre al fondo Tris - tramite accordi di 2° livello - la possibilità di una riduzione dell'orario di lavoro per i lavoratori più anziani favorendo così l'ingresso di giovani. Si da la possibilità, inoltre, di destinare le risorse economiche del premio di partecipazione per favorire questa iniziativa.

FORMAZIONE E NUOVE COMPETENZE. Sulla formazione è previsto il consolidamento e il rafforzamento della figura del delegato alla formazione e della formazione delle rappresentanze.

Sul tema dell'innovazione e dell'avanzamento scaturito da questa particolare fase storica (Industria 4.0) è previsto che nella contrattazione di secondo livello si possano determinare nuovi profili professionali e nuovi inquadramenti specifici che tengano conto dei nuovi "ruoli" che si andranno a creare in azienda.

OSSERVATORI. In questo rinnovo gli osservatori e i comitati per gli scenari economici apriranno un confronto sul ruolo dell'informazione scientifica del farmaco per determinarne meglio il perimetro operativo nel proprio ambito strettamente scientifico.

La parola passerà ora ai lavoratori che nelle assemblee daranno la loro valutazione del contratto.


All1 Federchimica-Farmindustria Ipotesi Accordo Rinnovo CCNL CHIMICO-FARMACEUTICO 2019-giugno 2022.pdf

All 2 verbale assemblee approv ipotesi accordo ccnl chimico 2019-giugno 2022-1.pdf

comunicato rinnovo CCNL Chimico-2.pdf

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Documento-1.pdf   

 Documento-2.pdf

Verbale per le Assemblee Congressuali di Base.pdf

        

    Congresso FILCTEM CGIL LOMBARDIA   -   8 e 9 Novembre 2018

                        Villa Fenaroli, via Mazzini 14  Rezzato ( Bs)

         Congressi FILCTEM Territoriali  da 8 al 23 Ottobre 2018




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      Previdenza, la trattativa prosegue


La partita della previdenza si aggiorna al 13 novembre. Per quella data è previsto infatti un nuovo vertice tra sindacati e governo, un tavolo tecnico nel quale le parti si incontreranno per considerare “la possibilità di modificare e migliorare i meccanismi che attualmente determinano la cadenza di adeguamento dell’età pensionabile, sotto il vincolo che eventuali modifiche non intacchino la sostenibilità del sistema previdenziale, che è un pilastro fondamentale della sostenibilità finanziaria del Paese”. Queste le parole del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, al termine dell'incontro odierno (2 novembre) a palazzo Chigi.

Al vertice hanno partecipato il premier Paolo Gentiloni e, oltre a Padoan, i ministri del Lavoro Giuliano Poletti e della Pubblica amministrazione Marianna Madia. Per i sindacati i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Susanna Camusso, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo.

Innalzamento automatico dell’età pensionabile e legge di bilancio, questi i temi sul tavolo. Nodi difficili da sciogliere – soprattutto il primo, viste le posizioni molto diverse. Un incontro su cui gravava la nota dell’Istat del 24 ottobre scorso che ha confermato le stime sulla crescita della speranza di vita degli italiani (è arrivata a 85 anni per le donne e 80,6 per gli uomini), che porteranno “automaticamente” a 67 anni l’età pensionabile a partire dal 2019, quindi cinque mesi in più della soglia attuale (ora è 66 anni e sette mesi).

I sindacati chiedono il blocco dell'automatismo che lega l'uscita dal lavoro all'aspettativa di vita. Il 13 novembre – ha spiegato Susanna Camusso al termine del vertice col governo – “verificheremo se davvero c’è la disponibilità a cambiare i meccanismi dell'età pensionabile e a differenziare i lavori, oppure se non c’è”.

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"TRA RIFORMA E RINNOVI" 

seminario della Filctem Cgil sulla riforma della contrattazione. 



Il 26 ottobre si è svolta a Roma, presso NH hotel Vittorio Veneto (Corso Italia,1), un'iniziativa seminariale, incentrata sul tema della contrattazione e del modello contrattuale, della Filctem nazionale: TRA RIFORMA E RINNOVI . Nella presentazione del documento della Filctem Cgil, Emilio Miceli, segretario generale della Filctem, ha dichiarato :"Un accordo contrattuale deve garantire la libertà e l'autonomia della contrattazione, è questo il tema politico che abbiamo di fronte. Il tentativo di comprimere la contrattazione l'abbiamo vissuta e la stiamo vivendo ad ogni livello, è il tentativo di inserire automatismi e rendere automatici tutti gli elementi del contratto. Il fatto che si voglia comprimere il contratto collettivo nazionale fa parte di questa ubriacatura tecnocratica che pesa moltissimo. È successo sul piano politico, attraverso le politiche di convergenza, avviene sul piano sociale".

Un seminario, questo, voluto fortemente da tutto il gruppo dirigente della Filctem per discutere e fotografare il presente dell'agire sindacale, per indagare sul delicato ed imprescindibile rapporto che esiste tra il contratto nazionale di lavoro e il sindacato stesso sia confederale che di categoria.Con una stagione contrattuale ormai praticamente conclusa, che ha visto importantissime novità e soluzioni applicate ai contratti, e all'alba della presentazione delle nuove piattaforme questa discussione si è resa necessaria per interrogarci e realizzare delle conclusioni da consegnare alla Confederazione, che ha la titolarità del confronto con Confindustria. Le conclusioni sono state affidate alla segretaria generale della Cgil Susanna Camusso


Documento: seminario_contrattazione_26_10_2017.pdf




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CONVEGNO DELLA FILCTEM CGIL LOMBARDIA: INDUSTRIA 4.0, INNOVAZIONE E GOVERNO DEL CAMBIAMENTO; OPPORTUNITA'  E RISCHI


Si può non essere travolti: si possono governare i processi che abbiamo di fronte". Lo ha detto ieri il segretario generale della Filctem Cgil Lombardia Rosalba Cicero, alla riunione con il comitato scientifico per presentare il convegno industria 4.0, innovazione e governo del cambiamento opportunità e rischi che si è svolto a Milano il 23 giugno 2017 al Salone della Società Umanitaria in Via F. Daverio 7 con inizio alle ore 9.30 .

Il tentativo è quello di  sviluppare dibattito  su quella che viene chiamata la “quarta rivoluzione industriale”, segnata – per l’appunto – dall’utilizzo di macchine intelligenti, interconnesse e collegate a Internet.

A fronte delle evoluzioni e dei mutamenti dell’innovazione tecnologica avviati in questi ultimi decenni, che hanno portato a un grande cambiamento, con al centro la programmabilità dell’innovazione tecnologica. Quello che interessa è cercare di capire quali sono le logiche conseguenze dell’assunzione del Piano 4.0 in termini di contribuito allo sviluppo economico e sociale dei nostri settori dentro il Paese.

Materiale iniziativa Filctem Cgil Lombardia su industria 4.0 fatta il 23 giugno'17

Lo studio è stato realizzato con l’obbiettivo di approfondire le opportunità di una strategia veso industria 4.0 all’interno dei settori moda, chimica,farmaceutica ed utiliti.

Il lavoro è stato strutturato su 4 livelli di analisi. Dopo una prima definizione del concetto di manifattura 4.0, si è passati a raccontare il posizionam,ento di policy rispetto alla prospettiva 4.0, per poi deliare una fotografia statisica roispetto al livello di innovazione delle imprese dei settori della filctem, fino a completare l’indagine attravesso interviste a stake holder ai quali è stato affidato il compito di leggere ed interpretari scenari della lombardia e dei settori filctem.


Industria 4.0:

Innovazione e Governo del Cambiamento

Opportunità e Rischi




Pensioni: In Gazzetta Ufficiale il decreto su "Part time agevolato"

 È' stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e acquisterà efficacia il 2 giugno, il decreto che disciplina le modalità di riconoscimento del "part time agevolato", introdotto dalla legge di stabilità 2016. Si tratta di un provvedimento di natura sperimentale che consentirà di anticipare il pensionamento ai dipendenti privati di 3 anni rispetto al requisito anagrafico previsto per le pensioni di vecchiaia. A darne notizia è il ministero del Lavoro. 

A questa misura potranno ricorrere i lavoratori del settore privato (sono esclusi i dipendenti pubblici) con contratto a tempo indeterminato e orario pieno, che possiedono il requisito contributivo minimo per la pensione di vecchiaia (20 anni di contributi) e che maturano quello anagrafico entro il 31 dicembre 2018.

Per questi lavoratori sarà possibile concordare col datore di lavoro il passaggio al part time, con una riduzione dell'orario tra il 40 e il 60%, ricevendo ogni mese in busta paga, in aggiunta alla relativa retribuzione, una somma esentasse corrispondente ai contributi previdenziali a carico del datore di lavoro per l'orario non lavorato. Inoltre, per il periodo di riduzione della prestazione lavorativa, lo Stato riconosce al dipendente la contribuzione figurativa corrispondente alla prestazione non effettuata, che gli consentirà di non subire alcuna penalizzazione al momento della maturazione dell'età pensionabile. 

Per accedervi, spiega il ministero del Lavoro, i dipendenti del settore privato devono richiedere all'Inps -per via telematica, se è in possesso del Pin, o rivolgendosi a un patronato- la certificazione che attesta il possesso del requisito contributivo e la maturazione di quello anagrafico entro il 31 dicembre 2018. Dopo di che il lavoratore e il datore stipulano un "contratto di lavoro a tempo parziale agevolato", nel quale viene indicata la misura della riduzione di orario, la cui durata è pari al periodo che intercorre tra la data di accesso al beneficio e quella di maturazione dell'età per il diritto alla pensione di vecchiaia.

Dopo la stipula del contratto, il decreto prevede il rilascio, in cinque giorni, del nulla osta da parte della Direzione territoriale del lavoro e, da ultimo, il rilascio in cinque giorni dell'autorizzazione conclusiva da parte dell'Inps. 

Per la copertura dei costi a carico dello Stato relativi alla contribuzione figurativa riconosciuta al dipendente sono stati stanziati 60 milioni di euro per il 2016, 120 milioni per il 2017 e 60 milioni per il 2018.

Il decreto chiarisce, inoltre, che la somma erogata mensilmente dal datore di lavoro -di importo corrispondente ai contributi previdenziali sull'orario non lavorato- è omnicomprensiva; non concorre alla formazione del reddito da lavoro dipendente e non è assoggettata ad alcuna forma di contribuzione previdenziale, inclusa quella relativa all'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.




Anticipo Pensionistico o Pasticcio  


 

L'ultimo acronimo inventato dal Governo si chiama APE che però non è l'utile e noto insetto che in primavera esce dal letargo, ma significa “Anticipo Pensionistico”. Con l'Ape il Governo Renzi sembra intenzionato a proporre una misura finalizzata a ridare flessibilità in uscita al sistema previdenziale che, dopo la legge Fornero è diventato estremamente rigido. Finalmente, verrebbe da esclamare! Anche perché sono ben tre anni che l'esecutivo promette di occuparsi di questa sentita questione.

Ma vediamo, sulla base delle informazioni oggi disponibili, di cosa si tratta. A partire dal 2017, potrebbero essere interessati - l'uso del condizionale è d'obbligo - gli over 63 anni, che potrebbero uscire dal lavoro con un anticipo massimo di tre anni rispetto al raggiungimento dell'età per il diritto alla pensione di vecchiaia, che attualmente è 66 anni e 7 mesi per gli uomini e un anno in meno per le donne. Per ogni anno di anticipo verrebbe applicata una penalizzazione, diversificata secondo l'importo della pensione, che sarebbe del 2/3% per assegni fino a 1.500 euro lordi (tre volte il minimo), oppure del 5/8% per cifre superiori. 

Il lavoratore intenzionato ad anticipare dovrebbe recarsi presso gli istituti di  credito (banche o assicurazioni) che, attraverso la modalità del prestito a carico del beneficiario, gli garantirebbe l'assegno mensile  per gli anni mancanti al raggiungimento dell'età della vecchiaia.
La penalizzazione sarebbe applicata sulla parte di pensione calcolata con il sistema retributivo, mentre la quota contributiva sarebbe in salvo, ma non conosciamo, al momento, quali coefficienti di trasformazione sarebbero applicati, ovvero se quelli relativi all'età anticipata o all'età ordinaria. Se fossero i primi determinerebbero una ulteriore riduzione dell'importo della pensione, da valutare caso per caso. 

Una volta raggiunta l'agognata età, il lavoratore e la lavoratrice sarebbero presi in carico dall'Inps, ma dovrebbero cominciare a restituire il debito accumulato nei confronti del sistema bancario con un piano di ammortamento. Non è chiaro chi pagherebbe gli interessi e in che misura: il pensionando, lo Stato, l'Inps?

Per capire meglio esaminiamo l'esempio concreto di un lavoratore di nome Mario che, arrivato a 64 anni e sette mesi, decide di uscire in anticipo di tre anni, avendo maturato una pensione di 1.500 euro lordi mensili, pari a 19.500 euro lordi annui. Ipotizziamo una penalizzazione complessiva a vita  del 9% per effetto della quale Mario riceverebbe 1.365 euro lordi al mese pari a 17.745 euro lordi annui, con una decurtazione annua pari a 1.755 euro che, moltiplicati per 20 anni di speranza di vita, ammontano esattamente a 35.100 euro totali in meno.
Alla fine del triennio di anticipo, oltre che continuare a ricevere meno pensione Mario si troverebbe indebitato con il sistema bancario per 53.235 euro, esattamente l'ammontare lordo degli assegni  che ha ricevuto e che dovrebbe cominciare a restituire con rate mensili per circa 18 anni. Insomma un vero e proprio mutuo sulla persona, contratto alla bella età di 67 anni e 7 mesi.

Vengono spontanee molte domande perché non si capisce perché se Mario deve restituire quanto ricevuto in anticipo deve continuare ad avere anche la decurtazione sull'assegno pensionistico e quindi ad essere penalizzato due volte. Chi dovrà pagare gli interessi del prestito ? Se Mario venisse a mancare, i suoi eredi dovrebbero pagare al suo posto la restituzione. Nel caso di pensione di reversibilità che viene decurtata di almeno il 40% cosa succederebbe alla vedova? Le verrà ridotto anche il debito oppure no?
Non vogliamo aggiungere altro se non che tutto questo ci sembra davvero un grande pasticcio; una proposta macchinosa, complicata, non conveniente per le persone, che non soddisfa il bisogno di flessibilità in uscita, sul quale insistiamo da tempo. Insomma una presa in giro. Forse gli unici interessati potrebbero essere le banche e le assicurazioni? 

Lavoro: dal 20 maggio part time agevolato verso la pensione

Dal 20 maggio 2016 parte la procedura prevista dalla Legge di Stabilità (208/2015 ) sul part  time agevolato. Potranno sceglierlo i lavoratori del settore privato, con almeno venti anni di contributi e a tre anni dal raggiungimento del requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia. Lo ha annunciato il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, in un video messaggio inviato alla  Giornata inaugurale sulla previdenza di Napoli.    

Si tratta di una misura che interessa i lavoratori del settore privato, con contratto a tempo indeterminato e orario pieno, in possesso dei contributi minimi previsti per la pensione di vecchiaia e che maturano il requisito anagrafico entro il 31 dicembre 2018. 

In sostanza, questi lavoratori potranno concordare col datore di lavoro il passaggio al part time, con una riduzione dell'orario tra il 40 e il 60%, ricevendo ogni mese in busta paga, in aggiunta alla retribuzione per il part-time, una somma esentasse corrispondente ai contributi previdenziali a carico del datore di lavoro sulla retribuzione per l'orario non lavorato. 

Per il periodo di riduzione della prestazione lavorativa, lo Stato riconosce al lavoratore la contribuzione figurativa corrispondente alla prestazione non effettuata, in modo che alla maturazione dell'età pensionabile il lavoratore potrà percepire l'intero importo della pensione, senza alcuna penalizzazione. Secondo il Ministero del lavoro, la misura sperimentale dovrebbe aiutare a promuovere un principio di "invecchiamento attivo", ovvero di uscita graduale dall'attività lavorativa.

Per accedere a questa misura, il lavoratore interessato deve richiedere all'Inps, per via telematica, se è in possesso del PIN, o rivolgendosi ad un patronato, la certificazione che attesta il possesso del requisito contributivo e la maturazione di quello anagrafico entro il 31 dicembre 2018. 

Con la certificazione dell'Istituto, il lavoratore e il datore stipulano un "contratto di lavoro a tempo parziale agevolato" nel quale viene indicata la misura della riduzione di orario. La durata del contratto è pari al periodo che intercorre tra la data di accesso al beneficio e quella di maturazione, da parte del lavoratore, dell'età per il diritto alla pensione di vecchiaia. 

Dopo la stipula del contratto, la norma prevede il rilascio, in cinque giorni, del nulla osta da parte della Direzione territoriale del lavoro e, da ultimo, il rilascio in cinque giorni dell'autorizzazione conclusiva da parte dell'Inps.

La contribuzione figurativa, commisurata alla retribuzione corrispondente alla prestazione lavorativa non effettuata, viene riconosciuta nel limite massimo di 60 milioni di Euro per il 2016, 120 milioni per il 2017 e 60 milioni per il 2018. 

Secondo la norma istitutiva del part time agevolato la somma erogata mensilmente dal datore di lavoro - di importo corrispondente ai contributi previdenziali sull'orario non lavorato - è onnicomprensiva, non concorre alla formazione del reddito da lavoro dipendente e non è assoggettata ad alcuna forma di contribuzione previdenziale, inclusa quella relativa all'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali

11/05/2016 11.03

Ammortizzatori sociali: Ministero del lavoro, criteri per la proroga della CIGS

Con il Decreto n. 95075 del 25 marzo 2016 il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministero dell'Economia e delle Finanze, ha definito(ai sensi dell'articolo 21, comma 4, del d. lgs 14/09/2015 n. 148) i criteri per l'accesso ad un ulteriore periodo di integrazione salariale straordinaria da concedersi qualora all'esito di un programma di crisi aziendale, l'impresa cessi l'attività produttiva e proponga concrete prospettive di rapida cessione dell'azienda stessa e il conseguente riassorbimento  del personale.

Il decreto prevede l'autorizzazione di un ulteriore intervento di antegrazione salariale per un limite massimo di dodici mesi per il 2016, nove per il 2017 e sei mesi per il 2018, in deroga a quanto stabilito nel decreto legislativo n. 148 dle 2015. 

La proroga del trattamento di integrazione salariale straordinaria è autorizzata previo la stipula di uno specifico accordo presso il ministero del lavoro. Le somme stanziate a copertura dei costi sono rispettivamente 50 milioni di euro per ciascun anno del triennio 2016-2018. 

11/05/2016 10.21

Gli ammortizzatori sociali sono un complesso di misure e prestazioni a sostegno del reddito dei lavoratori che si trovano nella condizione di disoccupati o sospesi dal lavoro.

I NUOVI AMMORTIZZATORI SOCIALI

 
Quando si perde il lavoro

A Partire dal 1° maggio 2014, le norme sulla tutela contro la disoccupazione involontaria hanno subito un riordino complessivo, con un potenziale ampliamento della platea dei beneficiari, ma con una penalizzazione degli importi rispetto a quelli dei precedenti ammortizzatori sociali. Infatti, è prevista una riduzione progressiva del 3% mensile delle indennità a partire dal quarto mese di percezione. Le nuove misure sono contenute nel decreto legislativo del 4 marzo 2015, pubblicato sulla gazzetta Ufficiale n. 54 del 6 marzo, in attuazione della  legge delega n. 183/2014, con la quale il Governo ha riordinato il mercato del lavoro nel suo complesso. 

Il dlgs, insieme a quello riguardante il “contratto a tutele crescenti”, è uno dei primi atti di questo disegno di riforma complessivo, duramente contestato dalla Cgil, perché il Governo, anziché, procedere verso la stabilizzazione del lavoro, amplifica le divisioni esistenti , tra chi è precario e chi invece continuerà ad avere le vecchie tutele, senza ridurre le tante tipologie di contratti atipici, dietro cui si nasconde un esercito infinito di precari, nonostante le dichiarate intenzioni di volerle eliminare, a cominciare dai co.co.co,  co.co.pro. e le false partite Iva.    

Nel decreto legislativo sugli ammortizzatori sociali sono previsti: 

  • la NASpI (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego)  è  rivolta alla generalità dei lavoratori (esclusi i dipendenti pubblici e gli agricoli) che, a partire dal 1° maggio, ha inglobato l’ASpI e la mini ASpI, introdotte dalla legge di riforma del mercato del lavoro (n.92/2012); 
  • l’ASDI, (Assegno di Disoccupazione) è una nuova indennità di disoccupazione che interviene una volta esaurito il periodo di NASpI; 
  • la DIS-COLL, per le collaborazioni coordinate, continuative e a progetto che sostituisce la vecchia “una tantum” . 
  • Contratto di ricollocazione, per aiutare il lavoratore/trice disoccupato/a nella ricerca di nuova occupazione

Oltre ad una penalizzazione generalizzata degli importi delle prestazioni, il nuovo provvedimento interviene pesantemente sull’istituto della contribuzione figurativa (quella di cui si fa carico lo Stato, in determinate circostanze, senza l’obbligo dei versamenti contributivi da parte del lavoratore/trice) prevedendo un tetto massimo, che comporterà conseguenze negative rispetto alla misura e al raggiungimento dei requisiti pensionistici di ogni lavoratore/trice.  

Nel tentativo di conciliare le politiche attive e passive per il lavoro, il nuovo sistema di tutela contro la disoccupazione involontaria subordina il riconoscimento della prestazione (pena la decadenza dal diritto) alla disponibilità effettiva del lavoratore/trice a partecipare a percorsi di formazione, riqualificazione e orientamento finalizzati alla ricerca di nuova occupazione. Una scelta teoricamente giusta, che mal si concilia però con le scarse opportunità di nuova occupazione e con l’assenza di progetti reali per il reinserimento dei disoccupati nel mercato del lavoro.  

Avvertiamo, comunque, i lavoratori/trici che, data la complessità della materia, è consigliabile rivolgersi agli uffici Inca per ricevere la consulenza necessaria, onde evitare scelte affrettate e dannose e far in modo, invece, di avere l’informazione completa affinché i diritti del lavoro non vadano in soffitta. 

Che fine fanno l’Aspi e la mini Aspi

Tutti quei lavoratori/trici che già usufruiscono dell’ASpI o Mini ASpI, o che risultano disoccupati prima del 1° maggio, continuano a percepire le relative prestazioni secondo i criteri previsti dalle vecchie norme (l. n.92/2012).     





FILCTEM CGIL LOMBARDIA

 

L’ EVOLUZIONE DEL SISTEMA MODA
IN LOMBARDIA

 

FERDINANDO COLLEONI

Segretario

 

 

 

Dall’alto continuano ad arrivare messaggi tranquillizzanti, ma in realtà lo scenario italiano continua a presentarsi come ricco di problemi più che di soluzioni.

Dall’alto si tende a dire che il peggio è ormai tutto alle nostre spalle e che si tratta di avere un po’ di pazienza prima di tornare ad essere i felici abitanti di un Italia felice.

Ma le cose non stanno veramente così.

Il nostro Presidente della Repubblica Giorgio Napoletano ha recentemente dichiarato “la crisi non è terminata ed è comunque destinata a provocare serie conseguenze sul mercato del lavoro nei prossimi mesi”.

Il Presidente di Confindustria Emma Marcegallia in risposta a certe affermazioni ha fatto presente che “ la crisi è molto pesante e va affrontata. Dire che non c’è mi pare una forzatura, l’industria italiana e di tutta Europa resta nel tunnel di una crisi economica molto pesante che in autunno potrebbe vivere un ulteriore aumento sul fronte dell’ occupazione”.

Crescita globale, cambiamento, apertura, visione del futuro, sembrano parole oggi in secondo piano nel nostro linguaggio.

Siamo ancora ad un capitalismo finanziario egemone culturalmente che ha dominato in modo incontrastato negli ultimi anni, soppiantando la politica e cambiato l’economia.

La delocalizzazione veniva presentata come modello di un futuro ideale, dove la fatica e il lavoro va ai paesi emergenti, ed all’occidente la ricchezza prodotta in quei paesi.

Quel modello è ancora oggi egemone culturalmente, ma ora sappiamo con certezzache non è più quello vincente.

Ma la maggioranza degli italiani pensa che l’attuale crisi sia solo una difficoltà momentanea, che presto la crisi tra qualche mese o poco tempo sarà superata e quel modello secondo il quale gli altri faticano e io spendo, tornerà a breve.

È pertanto difficile pensare in questa fase ad una società con maggiore protagonismo nel cambiamento, che dovrebbe essere capace di disegnare una prospettiva di valori e di società futura.

Per certi versi la crisi economica deve ancora abbattersi con violenza sul sistema economico italiano.

La presentazione del rapporto di Confindustria a giugno ha evidenziato una nuova fase di gravissima difficoltà.

Il rapporto mette in luce che, l’Italia come sistema complesso, si è abituata da tempo a non correre e oggi si è fermata.

Venivamo già da molti anni di crescita lenta (1,4% medio annuo) ben inferiore a quella degli altri paesi dell’ eurozona.

La straordinaria spallata del 2008, innescata dal crollo dei mutui negli Stati Uniti, ha fatto il resto: chiuderemo quest’anno, se tutto va bene, con il prodotto interno lordo in caduta del 4,9% e la disoccupazione è prevista salire al 9,3%, contro 8,9% di marzo: il livello più elevato degli ultimi dieci anni.

Siamo nel pieno di un passaggio storico il Pil pro capite è tornato ai valori degli anni 60.

L’Italia è inoltre gravata da un debito pubblico fra i più alti al mondo ( il terzo); 

da resistenze corporative di ogni ordine e grado che impediscono anche il benché minimo cambiamento ed è scossa da una crisi dell’ industria manifatturiera, ora anche a corto di credito.

Il tutto nel bel mezzo di una trasformazione mondiale e sulla strada di un internazionalizzazione globale.

In media i paesi del G20, per affrontare questa crisi, hanno impegnato il 3 % del Pil per il sostegno della domanda e dell’ occupazione, l’Italia lo 0,2%.

La crisi, da un lato colpisce i soggetti più deboli, le famiglie, i consumatori e dall’ altro intacca anche i territori più avanzati, le economie solide e reali legate al lavoro e alla produzione anche nella cosiddetta ricca Lombardia.

La Lombardia vede una forte presenza di un tessile glorioso che segnò agli inizi del novecento la storia stessa del tessile moderno e distinsero le tappe del più impetuoso sviluppo economico territoriale.

Una tendenza che si è mantenuta negli anni anche agli inizi del 2000 con insediamenti di imprese molto avanzate tecnologicamente.

Questo sviluppo regionale si fondava sull’ intreccio di macro-impulsi internazionali, tecnologici e finanziari, e micro-impulsi locali, fondati questi ultimi, su un complesso di esperienze e competenze, di abilità intellettuali e manuali, di responsabilità tacite nel lavoro, che hanno dato vita a imprese straordinariamente innovative e rappresentative di un made in Italy assai particolare, unico.

Un made in Italy tutto manifatturiero, che ha segnato le sorti di molti territori, con forte attenzione alla “sostenibilità”, in termine di occupazione e di prospettive evolutive.

La tenuta sociale è stata la molla trascinatrice di una crescita non solo economica, ma anche civile che non è mai stata costruita dall’ alto, ma sempre con una sussidiarietà reale e concreta che non ha mai escluso il conflitto sindacale e sociale, ma lo ha ricondotto, invece in un insieme di regole molto efficaci e solidali.

Nella geografia del sistema tessile abbigliamento italiano, la Lombardia ha stabilmente giocato un ruolo da protagonista. 

Questa posizione non si esaurisce nei soli numeri sulla dimensione del suo apparato produttivo ma anche nella sua capacità di interpretare in modo efficace le opportunità di sviluppo in un quadro di mercato nazionale ed internazionale che nel corso degli anni ha costantemente subito mutamenti rilevanti. 

A questo riguardo, la capacità di coniugare una forte propensione all’innovazione nel manifatturiero e l’impegno nella direzione di un forte sviluppo del terziario avanzato fa ancora una volta della Lombardia una delle realtà economiche che meglio ha saputo interpretare i nuovi driver dello sviluppo nell’attuale scenario competitivo moda.

Va infatti ricordato che l’attuale sistema moda si inserisce all’interno di un nuovo quadro competitivo in cui nell’ultimo decennio, si è registrato una intensificazione della concorrenza dei paesi in via di sviluppo che beneficiano di un forte vantaggio sul costo del lavoro, a cui va aggiunta una accelerazione tecnologica nel campo della chimica, del meccanotessile, dell’elettronica, nonché, l’affacciarsi di nuove opportunità di consumo per effetto di una accelerazione delle capacità di reddito delle stesse aree in via di sviluppo.

In questo nuovo quadro, il sistema moda Lombardo, per difendere la sua leadership,ha avviato un processo di ridefinizione del suo assetto strategico, in cui all’allargamento dei mercati oltre l’area dei paesi avanzati, ha obbligato le imprese a rinunciare alle produzioni basiche ed accelerare gli investimenti su prodotti di fascia medio alta. 

Questo riposizionamento sta ridisegnando il sistema moda nella direzione di un sistema ibrido in cui cresce il ruolo dei settori portatori di tecnologie (industrie meccaniche, elettroniche, chimiche, e dell’informatica), e cresce il ruolo di quel complesso sistema di servizi (styling, marketing, retail) portatore di contenuti immateriali del prodotto.

Sulla base di questi presupposti, il sistema, ha dovuto avviare anche un importante processo di ridefinizione del suo assetto organizzativo, che modifica radicalmente il modello tradizionale di distretto, per accedere ad una architettura più complessa in cui convivono in costante sinergia tre componenti: i comparti manifatturieri che realizzano le diverse fasi del prodotto; il sistema di fornitura di servizi che contribuiscono alla valorizzazione immateriale del prodotto (design, marketing e comunicazione, logistica e retail); le industri esterne alla filiera strettamente manifatturiera moda che contribuiscono all’avanzamento tecnologico e qualitativo dei processi e dei prodotti (chimica, meccanica, elettronica, informatica).

Questa crescente esigenza, dell’impresa moda, di integrarsi sempre di più con un sistema di fornitura qualificata, sia nell’ambito dei servizi immateriali, sia nell’ambito delle tecnologie di processo e prodotti, impone il superamento di una approccio centrato sulla specializzazione territoriale manifatturiera, per assumere un approccio in cui il sistema assume la forma di una piattaforma operativa.

Una rete che ovviamente varca i confini del distretto e del territorio nazionale in funzione dei vantaggi di specializzazione, a cui partecipano tutte le componenti della filiera su cui si genera il valore finale del prodotto.

Rispetto a questo nuovo scenario è senza dubbio la Lombardia una delle regioni che ha meglio fatto proprio il cambiamento.

Rilevante è stata infatti la trasformazione nel sistema degli agglomerati industriali e nei distretti tematici, in cui viene di fatto superato il limite territoriale e di specializzazione manifatturiera per accedere invece ad un modello di integrazione fra diversi settori.

Con questo nuovo approccio la mappa del sistema moda lombardo è stata di fatto ridisegnata. 

Il sistema moda fa oggi perno su Milano una delle 4 capitali della Moda e sulla Fiera Unica della Moda e su un articolazione distrettuale e territoriale a rete.

Un’articolazione geografica che secondo la Fonte ISTAT – ASPO raggiunge una dimensione di 105 mila unità locali e circa 500 mila addetti. 

Questo agglomerato economico, coinvolge un grandissimo numero di operatori: dagli stilisti, ai modellisti, ai filatori, ai produttori di beni intermedi, fino ad un aggregato di operatori economici e organizzazioni strettamente interconnesse e correlate tra loro dai giornali e Tv della moda ai trasporti, dalle sfilate ai negozi, dalla Fiera Unica al commercio internazionale etc…

Questo impegno verso un nuovo assetto strategico organizzativo dell’industria della moda lombarda, ha assunto un importante ruolo di traino dell’intero settore a livello nazionale, ruolo che senza dubbio ha contribuito a una tenuta della leadership internazionale del tessile abbigliamento sulla fascia medio alta del mercato. 

Va detto però che questa lunga fase di riorganizzazione non è sta indolore. I dati disponibile descrivono infatti un territorio che nel corso di questi anni ha subito un forte impatto in termini di occupazione ed imprese. 

A subire con più evidenza questo impatto sono state le piccole imprese e il comparto tessile più tradizionale. Due componenti essenziali della filiera su cui è diventato prioritario intervenire con politiche mirate tese a superare quelle fragilità che rischiano di ostacolare un processo di riposizionamento diventato irrinunciabile per rimanere protagonisti dentro il sistema moda 

Attraverso i dati di contabilità di fonte Istat è possibile definire il perimetro del sistema tessile - abbigliamento lombardo nella sua dimensione occupazionale, di valore aggiunto e nelle sue performance nel corso degli ultimi anni.

Gli ultimi dati disponibili ci consegnano un settore tessile – abbigliamento-calzaturiero che in Lombardia realizza circa 5,6 miliardi di valore aggiunto con un occupazione complessiva pari a 180 mila addetti, con il 70% di manodopera femminile.

A questo risultato si giunge dopo una lungo processo di riorganizzazione che non sembra ancora essersi esaurito, che ha visto cumulare nel corso del periodo 2001-2008 una perdita dell’15% del valore aggiunto e dell’8,5% degli addetti (pari a 15 mila lavoratrici e lavoratori).

Con questi numeri, anche dopo una fase in controtendenza rispetto alla media del sistema manifatturiero, la filiera TA continua a rappresentare una componente rilevante dell’apparato produttivo lombardo.

I dati del 2008, descrivono infatti un settore che dentro il manifatturiero assorbe il 12% dell’occupazione e l’8% del valore aggiunto Lombardo. 

Un dato di tutto rilievo se pensiamo che da questa analisi è esclusa quella componente di servizi e di comparti strettamente collegati alla creazione del valore del prodotto moda, che nonostante il peso crescente, le statistiche disponibili non includono interamente nel perimetro del settore.

Il tessile abbigliamento lombardo, non esaurisce il suo ruolo dentro la regione.

Questo settore pur presente sull’intero territorio nazionale, registra una forte concentrazione nel Nord, con la Lombardia che occupa saldamente la prima posizione. 

I dati affidano appunto a questa regione quasi il 30% della ricchezza prodotta dal settore a livello nazionale e oltre il 26% dell’occupazione.

Le altre regioni che per dimensione seguono più da vicino la Lombardia, sono il Veneto e la Toscana (dove il contributo al valore aggiunto e all’occupazione si ferma tra il 13 e il 14%). 

Rilevante è anche il confronto sull’andamento 2001-2008. Da questo esercizio emerge infatti che tra le 5 regioni ha maggior presenza del settore, La Lombardia tiene anche per una maggior capacità di contenere le perdite di questo lungo periodo caratterizzato da forti ristrutturazioni del settore, anche se con una variazione in negativo del –13% .

L’ossatura di questo settore è fatta di una costellazione di micro e piccole imprese, che in una funzione prevalentemente terzista hanno dato un contributo rilevante al successo competitivo dell’industria della moda italiana. 

E’ ancora di più evidente in uno schema produttivo quale quello lombardo in cui gioca un ruolo rilevante l’artigianato e più in generale la micro e piccola imprese 

Complessivamente, l’ultimo dato disponibile attribuisce al sistema artigiano nel 2008 più di 9000 imprese per un totale di 30.000 occupati, compresi gli apprendisti. Con questi numeri l’artigianato assorbe il 39% delle imprese ed il 20% dell’occupazione. Sommando all’artigianato la componente dell’industria sotto i 15 dipendenti, è possibile fotografare un sistema TA in Lombardia dove le micro e piccole imprese sono l’88% del totale e contribuiscono al 35% dell’occupazione.

Scendendo a livello provinciale, i dati, descrivono un settore che si sviluppa principalmente su sei province (Milano, Como, Varese, Bergamo, Brescia, Mantova) che insieme assorbono oltre il 90% dell’occupazione e delle imprese moda presenti in Lombardia. 

Ad un esercizio di comparazione territoriale, oltre alle differenze di specializzazione produttiva, diversità importanti emergono anche rispetto al ruolo dell’artigianato, che raggiunge il 27% dell’occupazione a Brescia mentre scende sotto il 10% a Milano e Como.

Più in generale, rispetto al peso delle micro e piccole imprese, nelle sei province a forte insediamento TA oscilla dal 45% e 41% rispettivamente di Brescia e Varese, fino a scendere al 27% a Mantova e Como.

Come noto, parlare del sistema moda in Italia significa parlare di un settore dove l’internazionalizzazione rappresenta una componente fondamentale della sua strategia di sviluppo. 

Con questa impostazione, possiamo definire un tratto strutturale di questo settore, per cui l’Italia secondo l’International Trade Centre e l’UNCTAD/WTO occupa la prima posizione nel mondo per competitività internazionale.

Più precisamente, secondo l’analisi dei due autorevoli istituti, l’Italia difende il suo primato internazionale sia nella filiera del tessile-abbigliamento che nella filiera della pelletteria calzature.

Non vi è dubbio che a questo successo di internazionalizzazione contribuisce in modo determinante l’industria moda della Lombardia. Dall’analisi dei dati di export, si scopre infatti che sul totale vendite all’estero del TA italiano che ammontano quasi a 28 miliardi di euro, la quota da attribuire alle imprese lombarde è di quasi 9 miliardi, ovvero, il 32% del totale. 

Va anche aggiunto, che nel periodo 2001-2007, segnato come noto da un generale rallentamento del settore, la Lombardia è tra le prime cinque regioni (Lombardia, Veneto, Toscana, Emilia Romagna, Piemonte) che insieme cumulano oltre l’86% dell’export.

Se si esclude l’Emilia Romagna che si è mossa in controtendenza con un incremento del 34%, la Lombardia grazie anche ad un rimbalzo dell’ultimo biennio ha espresso una ottima capacità di tenuta limitando le sue perdite ad un -3% all’ anno.

In questo esercizio di rappresentazione dell’attività internazionale del sistema moda lombardo, un dato di particolare interesse è il suo posizionamento geografico anche alla luce dei mutamenti che il processo di globalizzazione ha determinato sul piano della divisione mondiale della produzione e dei consumi.

Come noto, infatti, l’apertura del mercati sta spostando il baricentro delle opportunità di sviluppo dai paesi delle economie avanzate, verso le aree di nuova industrializzazione.

Rispetto a questo nuovo scenario, l’analisi della distribuzione geografica delle vendite conferma una capacità dell’industria moda lombarda di interpretare il cambiamento. 

I dati di export, infatti, pur confermando il primato del rapporto con l’Europa occidentale, verso cui le imprese italiane destinano quasi la metà delle vendite all’estero, segnalano un processo di continuo allargamento dei confini commerciali nella direzione dei paesi emergenti che contribuiscono a compensare una riduzione delle vendite su tutti i mercati tradizionali, tra cui la stessa area europea occidentale (-10% la variazione 2001/2007) e il Nord America dove l’arretramento nello stesso periodo è stato del 28%. 

L’area che sta maggiormente contribuendo a questo cambiamento nella composizione geografica dell’export è quella dell’Europa centro orientale (PECO) che oggi rappresenta un mercato che assorbe circa il 19% del totale dell’export della filiera tessile - abbigliamento grazie ad una crescita dal 2001 al 2007 del 38%. 

Significativo è diventato anche il contributo del continente asiatico che ha raggiunto un peso del 12%. Qui, il paese che ha maggiormente trainato la crescita è la Cina, non solo per il suo ruolo di paese di trasformazione ma anche per effetto di uno sviluppo che ha generato straordinari benefici di reddito e di capacità di consumo. 

Nel quadro dei paesi in via di sviluppo i flussi commerciali registrano una dinamica positiva anche verso il continente africano, trainata dall’area dei paesi settentrionali (+8%). A questo processo di ridefinizione della divisione internazionale delle vendite dalle aree occidentali verso le economie emergenti, non contribuisce invece il Sud America dove l’industria moda lombarda a ridotto l’export del 30%.

La crisi globale, in Lombardia, sta però rimescolando le carte ed i punti di riferimento tradizionali.

Rallentano gli ordini, si assiste ad una frenata della produzione industriale e al calo del fatturato. Aumentano progressivamente le ore di cassa integrazione ordinaria e straordinaria, l’utilizzo della cassa in deroga e della mobilità, e aumentano le cessazioni di attività e i fallimenti che investono non solo il manifatturiero e l’industria , ma anche il terziario e il commercio

Oggi la Lombardia deve avere l’obbiettivo di mantenere integro il più possibile il suo tessuto produttivo a fronte di una crisi che potrebbe spazzare via anche i migliori.

Questa breve analisi ci consegna una regione che inequivocabilmente continua ad essere un asse portante del sistema moda nazionale.

Tuttavia il vincolo dei cambiamenti associato alle criticità più generali di una crisi globale, in un contesto segnato da un arretramento strutturale dei consumi delle economie avanzate, nonché da un cambio sfavorevole, da un lungo periodo di aumento dei costi delle materie, nell’accesso al credito, ed in ultimo, da una crisi finanziaria che acuisce una lunga fase di sofferenza, impone uno sforzo straordinario nella direzione di interventi capaci di sostenere le componenti più fragili del sistema in questo processo di riposizionamento. 

Su questo fronte è infatti evidente che i dati ci restituiscono una situazione con poche luci e molte ombre. 

“Certamente non siamo di fronte ad imprese fossili”, ha dichiarato Tronconi il presidente degli imprenditori della Moda a Milano Unica appena conclusa “ma a uno dei settori più importanti e dinamici dell’ industria italiana”. 

Indubbiamente per il sistema moda lombardo le componenti più esposte al rischio di uno spiazzamento sono: 

le imprese a monte della filiera, che ancora oggi non riuscendo a beneficiare pienamente della valorizzazione immateriale del prodotto, devono accelerare nella direzione di un forte investimento sull’innovazione tecnologica, sull’efficienza organizzativa e sulla capacità di presidio della committenza internazionale.

l’intera costellazione di micro e piccole imprese dell’industria e dell’artigianato, che per una larga parte soffre di un modello organizzativo tradizionale ( quasi un terzo di queste imprese realizza il 50% del fatturato con il primo committente e opera come sub-fornitore tradizionale, dove il ruolo è limitato alla sola fornitura del servizio, senza realizzare alcuna forma di collaborazione) che non gli consente di accedere a quelle risorse necessarie per realizzare quella nuova strategia di sviluppo centrata su innovazione ed internazionalizzazione.

La fotografia sulla struttura e competitività delle imprese evidenzia un sistema di micro e piccole imprese che si posiziona su livelli di produttività , intensità degli investimenti, e presenza all’estero, largamente inferiori alla media. 

Su questi presupposti, Il superamento di questa competizione, sul capitale umano, passa attraverso un impegno che sia in grado di dare un concreto mantenimento quantitativo e qualitativo, immettendo inoltre attraverso la formazione continua il supporto all’acquisizione e aggiornamento di quelle competenze su cui si compone oggi il modello di sviluppo di una impresa del tessile – abbigliamento. 

Ma i segnali positivi del 2006 e degli inizi del 2007 sono velocemente finiti.

Il rallentamento aveva iniziato a manifestarsi nell’ industria tessile moda sul finire del 2007, poi progressivamente si è accentuato nella prima parte del 2008( da ricordare l’impatto dell’euro forte e la pressione dei costi energetici e di trasporto sulla competitività delle imprese) , per trovarsi ulteriormente a fronteggiare il contraccolpo che il sistema economico ha avuto in seguito alla crisi finanziaria dei titoli subprime esplosa nell’autunno del 2008.

Nell’ ultimo scorcio del 2008, il tessile-moda ed in particolare quello lombardo con tutta la sua filiera ha così finito per risentire della situazione globale della crisi.

Anche i settori della alta moda, le grandi griffe, storicamente anticiclici, hanno sofferto della difficile situazione congiunturale.

I risultati con cui viene archiviato il 2008 si stanno non solo protraendo, ma aggravando fortemente nel 2009. 

La recessione economica mondiale sta amplificando i processi negativi già in corso e determinando le condizione operative di mercato.

L’indagine congiunturale relativa al primo semestre del 2009 vede aggravarsi ogni giorno di più le pesanti difficoltà che hanno investito l’intero sistema moda e del made in Italy nella regione.

Nel primo trimestre del 2009 rispetto al corrispondente periodo dello scorso anno si è stimata una flessione del fatturato pari al –15%, con un accentuazione della forbice nella filiera tra le imprese a monte con un – 27% e quelle a valle dove si assiste a risultati negativi ma più contenuti con un – 6,3%.

Naturalmente anche l’export segna la stessa flessione che per il tessile è di – 30 %, mentre per l’abbigliamento si rileva un calo del –10%.

Un contraccolpo significativo, dopo la filatura, le cui produzioni significative sono quasi scomparse dalla filiera, la tessitura lombarda ha evidenziato un contraccolpo significativo e inevitabilmente, più accentuato sul fronte delle esportazioni.

L’export di tessuti ha infatti fatto registrare una contrazione del – 30% rispetto al corrispondente periodo dello scorso anno, e del –39% quello dei tessuti via Hong Kong.

Ma la preoccupazione per tutto il settore tessile Moda alla fiera di Milano Unica è che questa è la terza stagione con il segno meno.

Inoltre quello che preoccupa maggiormente è la contrazione degli ordini . un crollo che gli operatori del settore stimano tra il 20 e il 50 %.

Le tinte si fanno ancora più fosche guardando al rapporto con il mondo del credito.

La denuncia va al fatto che le banche, con il loro comportamento nei confronti delle imprese del settore , stanno paradossalmente penalizzando quelle attività che pur continuando a lavorare e a evadere ordini, si trovano in difficoltà finanziaria a causa dei crediti insoluti. 

Non solo, anziché supportare le imprese, le banche, oltre a rifiutarsi di scontare il portafoglio ordini, riducono i fidi e impongono tempi brevissimi per rientrare dalle somme scoperte.

Quindi fondamentale è facilitare l’acceso al credito delle imprese ma soprattutto centrale è l’esigenza a monte di far ripartire la domanda.

Ma la preoccupazione più forte è sul fronte dell’ occupazione.

Il raffronto con i periodi precedenti evidenzia ancora di più i problemi di oggi.

Se nelle nostre considerazioni dei dati di crisi del 2008, dicevamo che non tutto il comparto Moda in Lombardia era in crisi, i numeri ad oggi purtroppo evidenziano, che anche per i distretti ed i settori finora al riparo dalla bufera, una situazione di forte difficoltà.

In tutto il 2007 le aziende in crisi erano 250 con 18.000 lavoratori coinvolti, cresciute nel 2008 a 500 con 30.000 lavoratori per arrivare alle 750 e 45.000 lavoratori nei soli sei mesi di quest’ anno. 

30.000 addetti in cassa integrazione ordinaria, 15.000 in Cassa integrazione straordinaria e in deroga, 1.500 in mobilità in 53 aziende e 1.200 lavoratori in 30 aziende che hanno cessato l’attività .

Le difficoltà,presenti in tutto il settore tessile Lombardo e dentro la filiera, si evidenziano in particolare nelle aree territoriali di Como ( 12.000 e 230 imprese) Bergamo ( 10.000-170) Varese (6.000-120) Brescia (3.000-50) e Lecco (1.800-50).

Nel primo quadrimestre 2009 nel tessile abbigliamento calzaturiero abbiamo utilizzato 16 milioni di ore di cassa contro le 15,2 milioni di ore di tutto il 2008.

A giugno 2009 sul 2008 le ore tessili (i settori a monte della filiera della Moda) di cassa ordinaria sono 7,2 milioni di ore contro i 2 milioni di ore del 2008.

Quelle di cassa straordinaria sono 4,7 milioni sui 2,1del 2008. Il 251% in più nell’ ordinaria il 120% nella straordinaria.

Nell’abbigliamento siamo passati da 372 mila ore del 2008 a 1 milione di ore nel 2009 un +194% nell’ ordinaria.

Da 400 mila ore nel 2008 a 834 mila + 103% nella straordinaria.

I problemi, però , cominceranno a nascere se la recessione si prolungherà oltre il previsto, un ipotesi più che plausibile visto il calo della domanda e della produzione.

La cassa integrazione guadagni funziona se la crisi è temporanea e, a un certo punto, riparte l’economia.

Ma se come sembra non sarà così, in presenza di un rallentamento della produzione legato a una crisi da cui si uscirà in tempi non certo brevi, bisognerà ricorrere ad altri strumenti, altri ammortizzatori sociali.

Al momento della ripresa sarà però necessario disporre di tutti le professionalità necessarie per un efficiente funzionamento delle imprese.

E per la Cgil c’è un tema, un terreno, sul quale lavorare per affrontare l’emergenza e la prospettiva, per legare la crisi alle riforme, attraverso il riordino e la riforma degli ammortizzatori sociali e la formazione, problemi che non concernono solo la difesa dell’ occupazione, ma l’idea stessa di modello sociale e di modello produttivo.

Vorremmo un confronto che portasse risposte ai problemi che solleviamo, da quelli apparentemente più semplici quali il raddoppio della Cassa Ordinaria, l’intervento sui tetti salariali, all’ intervento sulla disoccupazione a quelli più complessi e di sistema che vedono la progressiva estensione ed unificazione dei due pilastri pubblici, cassa ordinaria e straordinaria da un lato, mobilità e disoccupazione dall’ altro.

Un modello universalistico del diritto, con un ruolo della bilateralità di carattere integrativo e di controllo sul funzionamento degli strumenti.

Ma soprattutto affrontare la crisi significa stare nel territorio, pur con tutte le difficoltà della fase, utilizzando la crisi come laboratorio aperto di proposte di politiche industriali che aggreghino gli interessi della piccola impresa con quelli della grande, dell’ artigianato con quelli dell’ industria, dell’ azienda con quelli della filiera, del manifatturiero con quelli del territorio.

Per quanto riguarda il sistema moda si tratta di saper proporre un idea di tenuta e ricomposizione della filiera che dia valore al lavoro, dignità alla persona prospettive per il futuro.

Devo dare atto a molti imprenditori di avere gestito la crisi con grande responsabilità. Molti stanno facendo di tutto per non chiudere, ma ci sono anche imprenditori che approfittano della crisi per tagliare.

Bisogna in questa fase avere un senso alto del dovere dell’ imprenditore e della sua responsabilità sociale. 

Dentro una crisi di queste dimensioni è indispensabile una forte responsabilità sociale del mondo organizzato delle imprese verso il lavoro, il territorio, la piccola impresa e il suo rapporto di subfornitura con le aziende committenti.

Responsabilità sociale per salvaguardare l’occupazione con strumenti idonei asostenere i lavoratori che saranno coinvolti dalla crisi.

Responsabilità sociale ad affrontare i problemi che si presenteranno in molte aziende tessili per affrontare le contrazioni di mercato e occupazionali con strumenti che permettano il più possibile di mantenere il posto di lavoro a molte lavoratrici e lavoratori del Sistema Moda

Responsabilità ad utilizzare politiche attive che abbiano al centro la formazione professionale necessaria alla qualificazione dei lavoratori e alla filiera.

Responsabilità nell’ utilizzo degli strumenti normativi e contrattuali come l'orario e i contratti di solidarietà per tenere i lavoratori nel settore.

Per questo là dove da sempre c’è elasticità e disponibilità a discutere soluzioni che possono consentire alle imprese di essere competitive, l’uso dei contratti di solidarietà è stata ed è ancora oggi di più, una scelta da praticare.

Nella cultura, nelle politiche e nelle contrattazioni in questo settore da sempre c’è infatti l’attenzione alla massima difesa dell’ occupazione, di quella femminile in particolare, attraverso l’utilizzo flessibile dell’ orario di lavoro. 

E nei casi di crisi e riorganizzazione, per non perdere professionalità preziose ci deve essere un ricorso massiccio proprio ai contratti di solidarietà.

La conseguenza immediata di questa soluzione è stata riassunta dal nostro segretario generale Valeria Fedeli nella formula” durante la crisi meno lavoro, ma lavoro per tutti”.

Lo sforzo da fare in Lombardia deve diventare significativo, vanno superate le resistenze degli imprenditori e delle associazioni.

Il ricorso ai contratti di solidarietà oggi è sole in poche realtà, una decina, ma è significativo il fatto che abbia consentito di salvare 300 posti di lavoro.

Va difesa la filiera Moda nella sua unicità e completezza.

Rimaniamo sempre convinti che il made in Italy abbia una sua validità, perché è un sistema, un insieme di aziende, di competenze, di professionalità, di creatività, di conoscenze, di manodopera difficilmente trasferibili o riscontrabile da altre parti.

Servono però sforzi congiunti su obbiettivi precisi, quali: meno tasse sui salari, agevolazioni fiscali per fusioni, ricerca e innovazione, su cui indirizzare le risorse (da quelle private, delle banche e quelle del sistema pubblico), senza disperderle in mille rivoli, per aumentare la competitività di un settore così importante per la ricchezza prodotta e per mantenere il più alto numero di occupati, soprattutto la manodopera femminile a partire dai contratti di solidarietà, alla formazione e alla riconversione dei lavoratori delle aziende che subiranno un calo occupazionale.

Il protocollo d’intesa sulla politica industriale, su investimenti, occupazione e redditi sottoscritto tra Femca Cisl, Filtea Cgil, Uilta Uil con le nove associazioni imprenditoriali nazionali di tutta la filiera produttiva italiana della moda e inviato al presidente del consiglio dei ministri, è un primo passo per la difesa del settore, ha prodotto incontri ma pochi risultati concreti

Va inoltre nella stessa direzione, la richiesta al nuovo parlamento europeo, di esaminare e approvare , la piattaforma congiunta del 3 giugno 2009 tra le organizzazioni degli imprenditori ed i sindacati del settore tessile hanno raggiunto su investimenti, occupazione e reddito.

Un protocollo rivolto alle forze politiche del nuovo parlamento europeo che si pone l’obbiettivo di raggiungere congiuntamente trasparenza e tracciabilità a cominciare dall’ introduzione obbligatoria del “made in” per tutti i prodotti importati nell’ Unione Europea, a quelle per l’occupazione e il reddito oltre che per il sostegno al dialogo sociale.

Un accordo anticrisi oggi, evidenzia sempre più il bisogno di interventi incisivi urgenti e mirati, con la necessità di una cornice di coordinamento europea, per unire le diverse responsabilità e rendere forte la competitività di sistema.

Il patto anticrisi del settore tessile, non è solo una sfida ad aprire un tavolo permanente di confronto dentro il nuovo parlamento europeo, ma è anche un manifesto rivolto al governo italiano ed al paese che deve affrontare seriamente la difesa della filiera della moda. 

La moda continua ad essere uno dei settori strategici dell’ assetto produttivo italiano, ma la sua filiera pur trasformata e internazionalizzata, oggi sente la crisi in modo pesante e vede a rischio il futuro di tante piccole imprese e tanti lavoratori.

Per questo, per adottare criteri che consentano di salvaguardare le specificità dei sistemi produttivi, per avere una immediata definizione di interventi di impatto e di politiche per uno sviluppo di lungo periodo abbiamo richiesto congiuntamente con gli imprenditori prima delle elezioni un tavolo di confronto con il governo. 

A quasi un anno dall’ inizio della crisi finanziaria non abbiamo ricevuto risposte.

È importante, un assunzione di responsabilità piena da parte delle istituzioni, a partire dal governo, affinché vengano assicurate le garanzie che possono consentire una stabilizzazione a tutto il sistema moda. 

L’intervento a sostegno della vitalità sociale e imprenditoriale poi è necessario soprattutto in un contesto di crisi eccezionale.

La resilienza del sistema tessile-abbigliamento rafforza la nostra convinzione che opportune misure di politica economica, basate su una logica di collaborazione strategica tra Stato e mercato, siano sempre più urgenti, anche alla luce della capacità di propagazione, che gli effetti positivi ,sul nostro settore, potrebbero avere in una dinamica virtuosa, su tutta la situazione italiana dentro la crisi.

All’intervento delle autorità centrali deve accompagnarsi quello dei governi Regionali e territoriali, che devono essere in grado di accompagnare al meglio l’impatto dei provvedimenti in base alle specifiche esigenze e caratteristiche delle diverse aree.

La nostra Regione, cosi come il nostro settore dentro la Lombardia è destinato a conoscere i maggiori cambiamenti, proprio perché in questa regione ha sede un quarto dell’ industria manifatturiera.

Senza avere un idea del futuro sviluppo industriale della filiera tessile lombardo e suicomparti che non vogliamo perdere rischiamo in Lombardia, di uscire da produzioni di eccellenza che da sempre hanno caratterizzato la nostra regione.

Occorre una responsabilità di tutto il sistema, una capacità comune per intercettare il bisogno e di dare una risposta incisiva e sinergica.

Nel momento in cui la situazione di difficoltà e di crisi indurrà degli impatti negativi in termini sociali occorre essere pronti ad intervenire, con adeguati strumenti.

Considerata la durata della fase negativa, che secondo le più accreditate stime si potrebbe prolungare di molto oltre le previsioni del 2011, è necessario individuare misure di sostegno alla tenuta ma anche allo sviluppo di un settore che in molti territori della Lombardia ha costituito e costituisce attività produttiva prevalente.

Per questo settore occorre pensare a mantenere le produzione con caratteristiche peculiari, non immediatamente replicabili dai potenziali concorrenti.

Ipotizzare una produzione con tali caratteristiche ha costi elevati, ed è per questo che l’intervento pubblico deve più che mai essere di sostegno al settore.

La conseguenza di una disattenzione porterebbe ad un costo occupazionale, e quindi sociale elevato e alla messa in difficoltà di una tradizione manifatturiera che ha dato grande apporto allo sviluppo del made in Italy.

Per un presidio efficace del settore in Lombardia e un piano di intervento strutturato è necessario che si realizzi:

La definizione prima, di tutto il valore complessivo degli aiuti che possiamo mettere in campo in Lombardia, usando non solo i trasferimenti nazionali ed europei, ma soprattutto definendo quelli del bilancio regionale che sembrano essere molto modesti rispetto ai 75 milioni di Euro promessi 

E’ opportuno che le azioni di Regione Lombardia si concentrino sulle competenze proprie delle regioni cioè: Mercato del lavoro con particolare attenzione all’espulsione dal mercato del lavoro delle donne, Formazione professionale, ricerca, aiuto al credito, welfare regionale di supporto agli ammortizzatori sociali nazionali e riservato a chi ne è sprovvisto , sull'accompagnamento a un nuovo lavoro , sugli aiuti alle famiglie in difficoltà.

E’ importante che l’intervento in profondità debba comprendere una preliminare analisi di merito dei comparti, per l’esistenza nel comparto stesso di diversi settori produttivi (filato tradizionale, arredamento, tecnologico, confezioni, alta moda, occhialeria, calzaturiero etc) con il coinvolgimento diretto delle associazioni di categoria, delle imprese leader di territori o di segmenti di mercato, con l’aiuto dei centri di ricerca e universitari ( centro tessile serico, centro cotoniero, università tessile, CERN. Etc…) l’analisi di approfondimento dovrebbe ricercare i fattori di eccellenza su cui costruire il rilancio del settore e le competenze richieste, nelle specifiche aeree del processo produttivo integrato, dalle risorse umane.

Un tavolo di confronto in grado di definire e affidare il compito di gestire programmi di interventi territoriali e di settore in grado di affrontare le azioni anticrisi con risorse certe e strumenti operativi certi.

La regione Lombardia deve avviare, da subito, un tavolo di monitoraggio della situazione e degli interventi in modo da formulare proposte ad hoc.

Un tavolo di crisi che abbia la responsabilità come istituzione di promuovere una compattezza di azione di tutti i soggetti per rilanciare la crescita e lo sviluppo ed in grado di formulare proposte al governo che potranno fare da leva alla ripresa 

Un tavolo che preveda uno stretto rapporto con gli accordi già sottoscritti in regione, tra le politiche passive, attraverso il ricorso agli ammortizzatori in deroga, le politiche attive del lavoro, volte a riqualificare i lavoratori a rischio occupazione ed a favorirne il reimpiego in nuovi posti qualificati e un programma di sostegno organico ed articolato rivolto al settore della Moda che potrebbe portare benefici sicuri per l’occupazione, per le imprese e per lo sviluppo economico della Regione.

A una crisi straordinaria occorre rispondere con strumenti e risorse straordinarie.

Occorre concordare interventi che diano risposte immediate all'emergenza della crisi e sappiano guardare a come sostenere il settore nel lungo periodo.

Se non si interviene con tempestività i costi della crisi ricadranno tutti sui lavoratori, sulle piccole imprese e sulle aziende che in questi anni hanno investito e fatto innovazione.

E' in discussione il futuro del manifatturiero e del settore tessile.

La Cgil e la Filtea da tempo stanno lavorando nel merito dei problemi causati dalla sottovalutazione che la Giunta Formigoni ha praticato in Lombardia nei confronti della politica industriale sul nostro settore, lasciando solo al mercato il compito di ridisegnare la realtà produttiva regionale.

Dobbiamo dare voce alla gente che sta perdendo il lavoro, le cifre sono indispensabili, però per capire quante persone, e famiglie e storie ci sono dentro la crisi.

In questo quadro sarà necessario chiamare le lavoratrici ed i lavoratori a mobilitarsi per perseguire obbiettivi fondamentali di tutela del lavoro, della sua dignità, della sua condizione sociale.

In questa fase difficile e complicata siamo alla ricerca di nuove strade comuni che portino, nel merito, alla ricomposizione del fronte sindacale confederale; così come avviene di fronte alle tante crisi industriali che quotidianamente affrontiamo.

La centralità dell’ azione sindacale debba essere quella di rispondere alla crisi, difendendo l’occupazione e il reddito

Per un più alto bisogno di giustizia sociale 

 

“Fight the crisis”.

“Put people first”.

Combattere la crisi.

Mettere le persone al primo posto.

È questa la parola d’ordine del sindacato europeo e della CGIL.



 

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